INAIL: le modifiche alle sanzioni civili per lavoro nero

L’Inail ha pubblicato la circolare n. 31 del 28 luglio 2017 , con la quale riassume la disciplina delle sanzioni civili per i casi di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, a seguito delle modifiche apportate dall’articolo 22 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151.

 

Disciplina delle sanzioni civili e sentenza della Corte Costituzionale

Le sanzioni civili sono disciplinate dall’articolo 116, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che stabilisce:

I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;

b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi, non corrisposti entro la scadenza di legge.

L’articolo 3, comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73 ha poi disposto che Ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione.

La suddetta disposizione è stata modificata dall’articolo 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. A seguito di tale modifica il testo del citato comma 3 era il seguente:

Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punito con la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

La sentenza della Corte Costituzionale 13 novembre 2014, n. 254 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’articolo 3, comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, nella parte in cui stabilisce che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

A giudizio della Corte, infatti, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole e pertanto la norma nella parte relativa alla sanzione civile, risulta, per la denunciata irragionevolezza, in contrasto con l’art. 3 Cost.

Il regime sanzionatorio dichiarato illegittimo è stato in vigore dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010. Infatti, come illustrato nella circolare Inail 16 giugno 2011, n. 36, la legge 4 novembre 2010, n. 183, all’articolo 4, ha nuovamente sostituito l’articolo 3, comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12, stabilendo un diverso regime sanzionatorio che è stato a sua volta in vigore dal 24 novembre 2010 al 23 settembre 2015.

Tale regime disponeva che le sanzioni civili fossero calcolate nella misura del 30 per cento in ragione d’anno della contribuzione evasa, fino a un massimo del 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge, come previsto dall’articolo 116, comma 8, lettera b), della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e che l’importo così determinato fosse aumentato del 50 per cento.

L’aumento del 50 per cento è venuto meno a seguito dell’articolo 22 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 che ha modificato dal 24 settembre 2015 le disposizioni sanzionatorie in tema di lavoro e legislazione sociale.

Pertanto, come già illustrato con la succitata nota Direzione Centrale Rischi 5 novembre 2015, prot. n. 7465, per le violazioni commesse a partire dal 24 settembre 2015, l’importo delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi assicurativi è calcolato nella misura prevista dall’articolo 116, comma 8, lettera b) della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Ne consegue che, anche in caso di accertamento di lavoro sommerso, qualora al momento dell’accertamento ispettivo sia scaduto il termine di legge per la dichiarazione delle retribuzioni afferenti l’anno o il minor periodo di riferimento e per il conseguente versamento del premio dovuto per lo stesso periodo, trova applicazione, al pari delle altre tipologie di evasione contributiva, esclusivamente la sanzione civile pari al 30 per cento in ragione d’anno del premio evaso fino al tetto massimo del 60 per cento oltre il quale sono dovuti gli interessi di mora.

Il suddetto regime, tuttora vigente, si applica a tutti gli accertamenti ispettivi iniziati a partire dal giorno 24 settembre 2015.

Effetti della sentenza e termine di prescrizione del rimborso

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, dal 20 novembre 2014 l’articolo 36-bis ha cessato di avere efficacia1 e di conseguenza, da tale data, non può più essere applicato il regime sanzionatorio in vigore dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010, che prevedeva la soglia minima di 3.000 euro della sanzione civile per ciascun lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e deve quindi essere applicato unicamente il regime sanzionatorio ordinario previsto dall’articolo 116, comma 8, lettera b) della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Infatti, in applicazione dell’articolo 30, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87 “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”2, le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, salvo il limite delle situazioni giuridiche ormai esaurite per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, i diritti per i quali è operata la prescrizione o i poteri per i quali è scattata la decadenza.

Per quanto sopra, con la già richiamata nota della Direzione Centrale Rischi 5 dicembre 2014, prot. n. 7828, sono state fornite istruzioni nel senso che per tutti i casi per i quali pendevano giudizi a seguito di opposizione a cartella esattoriale o comunque pendeva contenzioso, le Sedi dovevano provvedere immediatamente a calcolare la sanzione civile per evasione con il regime previsto dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388 e ad annullare la differenza rispetto alle sanzioni civili di 3.000 euro per lavoratore già accertate, in modo da cessare il contenzioso in atto.

La stessa operazione doveva essere effettuata in relazione alle procedure concorsuali non concluse.

Tali indicazioni continuano a essere valide qualora dovessero ancora emergere casi del genere.

I soggetti assicuranti, che a suo tempo hanno regolarmente versato le sanzioni civili ex articolo 36-bis, devono presentare domanda di rimborso alla Sede Inail competente, che provvederà a calcolare la sanzione civile ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e a rimborsare la differenza.

Il termine prescrizionale per chiedere il rimborso, trattandosi di indebito previdenziale, è quello decennale previsto dall’articolo 2946 del codice civile3, decorrente dalla data del versamento.

Per le società che risultano cancellate dal registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2495 del codice civile rimangono ferme le sanzioni civili già accertate ex articolo 36-bis e incassate, trattandosi di rapporti giuridici esauriti.

Non sono rimborsabili le somme per le quali il richiedente sia stato condannato al pagamento con sentenza passata in giudicato.

 

 

Fonte: Inail

La Redazione

Autore: La Redazione

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