ConfprofessioniLavoro: Il Contratto a Termine negli Studi Professionali (focus sul Ccnl)

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Il titolo XI (artt. 52-54) del Ccnl degli studi professionali disciplina il contratto a tempo determinato, integrando quanto previsto dalla normativa vigente e riempiendo gli spazi assegnati alla contrattazione collettiva. In via preliminare, rileva ricordare che tale tipologia contrattuale rappresenta per i datori di lavoro uno strumento di flessibilità organizzativa, ma comporta un costo del lavoro più alto. La l. n. 92/2012 ha infatti stabilito che, per i contratti a termine stipulati a partire dal gennaio 2013, il datore di lavoro è tenuto a versare un contributo mensile addizionale pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, che concorre a finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego (oggi NASpI). Questo potrà essergli restituito, per un importo tuttavia non superiore alle ultime 6 mensilità, in caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ovvero di riassunzione a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del contratto a termine. Il contributo addizionale non si applica alle assunzioni di lavoratori a termine per ragioni di carattere sostitutivo e per le attività stagionali di cui al DPR 7/10/1963 n. 1525.

Modalità d’impiego

Il primo comma dell’art. 52 del Ccnl presenta una riformulazione del principio di non discriminazione sancito dall’art. 25 del d.lgs. n. 81/2015, che riordina la precedente disciplina di cui al d.lgs. n. 368/2001, affermando che ai lavoratori con contratto a tempo determinato spettano tutti i trattamenti normativi ed economici disposti dal contratto collettivo (ad es., minimo tabellare, ferie, permessi….), o in atto nella struttura (es. buoni pasto), che siano compatibili con la natura del contratto a termine ed in proporzione al periodo lavorativo prestato.

Come specificato dal secondo comma dell’art. 52 del Ccnl, che richiama l’art. 19 del d.lgs. n. 81/2015, il contratto di lavoro a tempo determinato deve essere redatto in forma scritta. Si tratta di un requisito richiesto ad substantiam, la cui mancanza rende l’apposizione del termine nulla e priva di effetti, mentre il contratto si considera sin dall’inizio (ex tunc) a tempo indeterminato. In quest’ultima ipotesi, ai sensi dell’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, il giudice condanna anche il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

Adeguandosi alle novità introdotte dal d.l. n. 34/2014 (c.d. Decreto Poletti), convertito in l. n. 78/2014, che ha sostanzialmente liberalizzato l’istituto prevedendone un utilizzo acausale, il nuovo Ccnl degli studi professionali fissa in 36 mesi, comprensivi di eventuali rinnovi e proroghe (fino a 5), la durata massima del contratto di lavoro a tempo determinato, senza che sia necessaria l’apposizione di alcuna causa. I rapporti in somministrazione a termine concorrono al raggiungimento del suddetto tetto temporale. Qualora il contratto oltrepassi i limiti di durata o il numero massimo di proroghe, si considera a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

L’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato non è ammessa nei casi elencati dall’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 81/2015. Tra questi, assume particolare rilevanza il divieto di effettuare assunzioni a termine gravante sul datore di lavoro che non abbia effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. In caso di violazione, il contratto si trasforma a tempo indeterminato.

Il comma 5 dell’art. 52 del Ccnl, in ottemperanza dell’art. 21, comma 2 del d.lgs. n. 81/2015, precisa che i rapporti di lavoro a tempo determinato possono essere rinnovati senza soluzione di continuità. Ciò significa che il datore di lavoro è libero, alla scadenza del contratto, di assumere nuovamente a termine senza l’obbligo di osservare intervalli minimi di attesa tra un contratto e l’altro.

Rispetto al tetto del 20% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato introdotto dal citato d.l. n. 34/2014, il Ccnl degli studi professionali eleva i limiti quantitativi relativi ai contratti a termine attivabili da ciascun datore di lavoro. Nello specifico, le strutture che occupano fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato possono assumere fino a 3 lavoratori a termine; le strutture che occupano da 6 a 15 dipendenti non possono eccedere il 50% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, arrotondato al numero intero superiore; le strutture che occupano un numero di dipendenti superiore a 15 non possono eccedere il limite del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, arrotondato al numero intero superiore. La base di calcolo da utilizzare per stabilire il limite di ricorso al lavoro a termine è costituita dal numero di lavoratori a tempo indeterminato in organico al momento dell’assunzione.” continua la lettura dell’articolo

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Autore: Confprofessionilavoro

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