Articolo: Collaborazioni coordinate e continuative: cosa cambia

approfondimento di Eufranio Massi

 

Estratto dal n. 31/2015 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)

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Diritto_pratica_lavoro“L’analisi che segue riguarda quelle tipologie di lavoro autonomo, sviluppatesi oltre misura negli ultimi quindici anni e che sono state interessate da provvedimenti di riforma, sia pure parziale, attraverso più interventi. Ora, il Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 contenente la disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, pubblicato sul S.O. n. 34 alla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2015, interviene superando il contratto a progetto e prevedendo alcuni significativi cambiamenti.
Contratto a progetto
La fine del contratto a progetto, va detto in premessa, non significa la fine delle collaborazioni
coordinate e continuative. Quando, all’inizio degli anni duemila, dietro l’impulso di Marco Biagi, fu ipotizzato il progetto (un programma o fase di esso), si pensò, con questo sistema, di superare le molteplici forme di collaborazioni “fasulle” che, grazie anche ad una contribuzione di favore oltre modo favorevole, erano proliferate in maniera abnorme. Di per se stesse, le collaborazioni coordinate e continuative si erano sviluppate da
anni nel nostro Paese, ben prima che, nel 1973, attraverso la riforma del processo del lavoro, l’art. 409, n. 3, c.p.c. ne radicasse la competenza presso il giudice del lavoro, con una norma di diritto processuale.
Si pensò, attraverso la legge delega n. 30/2003 e, immediatamente dopo, con il D.Lgs. n. 276 sempre dello stesso anno, che fosse sufficiente individuare e descrivere un contenuto della prestazione finalizzata alla realizzazione di un progetto svolto in maniera autonoma (spesso, a parole) e coordinata per qualificare una prestazione come autonoma: ma ciò non si è verificato. Molti pensarono, e gli interventi dei giudici di merito con la riconduzione a rapporto di lavoro subordinato stanno a dimostrare quanto fosse sbagliata l’interpretazione, che fosse sufficiente la redazione di un progetto all’interno del contratto di lavoro sottoscritto (spesso scritto, in modo improbabile e con scarso contenuto) per ricondurre il tutto nell’ambito dell’autonomia e “lucrare” sul minor costo complessivo,  sfuggendo anche alla rigidità delle disposizioni che tutelavano e garantivano il lavoratore subordinato in caso di risoluzione del rapporto. Ma non era assolutamente così… continua la lettura

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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